La libera circolazione delle professioni regolamentate.
LA LIBERA CIRCOLAZIONE DEI PROFESSIONISTI IN EUROPA: SEGNALE DI UNA INTELLIGENTE ORGANIZZAZIONE IN UN MONDO GLOBALIZZATO, CHE VUOLE INCENTIVARE LA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE PERSONE ED IL CONCETTO DI CITTADINANZA EUROPEA.
Riflessioni tra falsi miti, polemiche, realtà e normative applicate allo “strano caso” degli Avvocati italiani che conseguono il titolo professionale in altro Paese dell’UE.
Se volessimo identificare quattro libertà su cui sta investendo – e quindi su cui si basa – la politica europea potremmo menzionare:
- la libera circolazione delle merci che prevede la soppressione delle barriere doganali e il conseguente libero trasporto delle merci tra gli Stati membri;
- la libera circolazione delle persone che ha abolito tutte le formalità doganali tra gli Stati membri a carico dei cittadini comunitari in transito e ha dato la possibilità ai lavoratori, sia essi subordinati che autonomi, di svolgere un’attività lavorativa sul territorio di qualunque Stato membro;
- la libera prestazione dei servizi che si riferisce alla possibilità di fornire prestazioni retribuite in uno Stato membro diverso da quello di stabilimento;
- la libera circolazione dei capitali in virtù della quale si è avuta la completa liberalizzazione valutaria e l’integrazione nel settore dei servizi finanziari.
La libertà di circolazione delle persone consiste nel diritto dei cittadini dell’Unione “di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri” (art. 18, comma 1, TCE), indipendentemente dall’esercizio di un’attività lavorativa. Tale diritto è espressione della cosiddetta cittadinanza dell’Unione europea, formalmente introdotta dal Trattato di Maastricht che ha aggiunto al Trattato istitutivo della comunità europea una parte seconda (artt. 17-22) rubricata “Cittadinanza dell’Unione”. In particolare l’art. 17, comma 1, TCE dispone quanto segue: “è instituita una cittadinanza dell’Unione. E’ cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell’Unione costituisce un completamento della cittadinazna nazionale e non sostituisce quest’ultima”.
Al possesso della cittadinanza dell’Unione si accompagnano i seguenti diritti:
- la libera circolazione delle persone
- la libera circolazione dei lavoratori
- il diritto di stabilimento
- la libera prestazione dei servizi
In tale ottica è stata introdotta la previsione di un processo di trasparenza attraverso il quale ogni Stato deve esaminare tutta la propria regolamentazione delle professioni per verificare che sia non discriminatoria, proporzionale e basata su un motivo imperativo di interesse generale.
L’obbiettivo è quello di ridurre la regolamentazione dei servizi professionali che non rispetta tali criteri, considerata una delle cause di maggiore ostacolo alla mobilità dei professionisti e, conseguentemente, alla crescita economica e allo sviluppo dell’occupazione.
Chiaramente la libera circolazione favorisce e si traduce in: libera concorrenza, tutela del consumatore/cliente e tutela del profesionista stesso. Forse è proprio qui che – possiamo sommessamente ipotizzare – risiedono alcuni “malumori”, che negli anni hanno contribuito a generare un senso di “minaccia” piuttosto che stimolo ad aggiornarsi ed accettare l’evolversi dell’accesso professionale.
Una parte di quello che potremmo definire il “sistema forense” pur riconoscendo i principi sopra esposti come giusti e corretti, tuttavia ha rilevato che negli ultimi anni ci sia stata un’applicazione distorta ritenendo che molti laureati in giurisprudenza italiani, grazie a percorsi integrativi – definiti come – “agevolati”, hanno ottenuto in Spagna e in Romania l’omologazione della propria laurea italiana al corrispondente titolo spagnolo o rumeno, per poi fare ritorno in Italia e chiedere l’iscrizione nella sezione speciale degli Avvocati Stabiliti.
Un dato di qualche tempo fa rilevava che il 92% degli iscritti nelle sezioni speciali degli avvocati stabiliti degli Albi dell’Ordine Forense è di nazionalità italiana e tra questi l’83% ha conseguito il titolo in Spagna, il 4% in Romania (dati in Rassegna Forense, n. 3-4/2014, p. 793).
L’aspetto polemico di questo percorso, si riferisce a chi pone l’accento sul fatto che la predilezione per tali mete – ad avviso di alcuni – è, notoriamente, dovuta al fatto che, in quei paesi non è previsto un esame di abilitazione alla professione di Avvocato, che può essere svolta liberamente da chi si sia semplicemente laureato in giurisprudenza. Il successivo rientro in Italia come “stabilito” consentirebbe, di fatto – a detta di alcuni – di eludere il superamento dell’obbligatorio esame da Avvocato che è previsto nell’ordinamento giuridico italiano.
Tali convinzioni hanno mosso l’operato di molti Coa (Consiglio dell’Ordine degli Avvocati) che negli ultimi anni – se pure a singhiozzo visto le sentenze, i pareri del CNF e la normativa – hanno, purtroppo, ripetutamente rigettato richieste d’iscrizione nella sezione speciale degli avvocati stabiliti presentate da cittadini italiani in possesso del titolo spagnolo di “abogado” o di quello rumeno di “avocat”; e ciò ha convintamente fatto leva su quello che di fatto ritengono sia basato sul c.d. abuso del diritto.
Non possiamo certo con un articolo dirimere l’annosa controversi relativa all’ottenimento del titolo di un cittadino italiano all’interno di uno dei Paesi dell’Unione Europea, ma vogliamo fornire degli spunti di riflessioni, che speriamo possano essere oggetto di appronfrondimento, sia seguendoci che consultando i riferimenti normativi e giurisprudenziali.
Siamo profondamente convinti che, uscendo dalla forma mentis nazionale (cioè definita da parametri tipici e caratteristici della propia nazione), operando un reset, quindi facendo tabula rasa per entrare nel mood europeistico, privo di confini, preconcetti, retropensieri e fatto solo di nuovi imput, di tipo inclusivo, fortemente incentivanti e volti all’implemetazione delle proprie competenze potremmo accorgerci che:
- Tutti i paesi hanno una accesso professionale. Ogni professione qualificata e qualificante – quindi anche e soprattutto la figura dell’Avvocato – è frutto di uno studio universitario, un percorso settoriale con una prova d’esame attitudinale finale. Il fatto che sia diverso da quello organizzato in Italia non lo rende meno serio, né di “serie B”.
- Il problema non puó essere l’accesso professionale. Ogni Stato ha la facoltá di disciplinarlo come ritiene opportuno. Sarà poi nello stato ospitante, dove si decide di stabilirsi, che si dovrá dimostrare di avere congrue competenze, per poter essere integrati dopo i tre anni di stabilimento. Forse è il libero mercato che – sottotraccia – preoccupa e quindi ostacola l’inserimento di nuovi professionisti.
- La Corte di Giustizia dell’Unione europea, con la sentenza depositata il 17 luglio 2014 (cause riunite C-58/13 e C-59/13, Torresi,C-58/13) legittima in concreto la pratica di qualification shopping, sulla scia della precedente sentenza del 22 dicembre 2010, Koller, causa C-118/09, ritenendo che non costituisce una pratica abusiva la condotta di un cittadino italiano che si rechi in Spagna, al fine di acquisirvi la qualifica professionale di Avvocato, facendo successivamente ritorno in Italia per esercitare l’attività professionale, con il titolo ottenuto in Spagna in cui tale qualifica professionale è stata acquisita.
In modo provocatorio per alcuni, potremo concludere che l’Avvocato Stabilito è il nuovo status quo dell’Avvocato 2.0!