La figura dell’Avvocato Stabilito: uso del titolo, prestazione professionale ed Avvocato affiancante.
L’ESERCIZIO PERMANENTE DELLA PROFESSIONE DI AVVOCATO DA PARTE DI AVVOCATI CITTADINI DI UNO STATO MEMBRO DELL’UNIONE EUROPEA
Come noto, la legge professionale forense (Titolo II, art. 15, lett. i, della Legge n. 247/2012) prevede la possibilità di iscriversi, in un’apposita sezione speciale dell’Albo, dei c.d. “Avvocati Stabiliti”, ovvero di coloro i quali svolgono un esercizio permanente della professione di Avvocato, in uno Stato membro diverso da quello in cui é stata acquisita la qualifica professionale.
La disciplina di riferimento é il D.lgs 96/2001 che da attuazione della Direttiva 98/5/CE volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di Avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui é stata acquisita la qualifica professionale.
La normativa nel rispetto dei principi comunitari della libera circolazione dei lavoratori e del diritto di stabilimento, vuole tutelare coloro che, avendo conseguito il titolo professionale in uno dei Paesi europei, decidano di svolgere la professione in altro Stato membro dell’Unione.
In territorio italiano, tale possibilitá-diritto è stato vissuto come un vero e proprio “fenomeno”, il cui flusso ha portato l’Italia ad un certo irrigidimento, che peró è stato “bilanciato”, infatti va rilevato che hanno subito dei margini piú ristretti, i rigetti delle domande di iscrizione nella Sezione Speciale dell’Albo degli Avocati dopo alcune rilevanti sentenze, tra cui ricordiamo: la sentenza n. 28340 del 22 dicembre 2011 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, il provvedimento del 23 aprile 2013 dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e la sentenza del 17 luglio 2014 della Corte di Giustizia Europea.
In questo articolo oggi vogliamo rammentare sinteticamente quali sono i limiti entro i quali un Avvocato “Stabilito”, iscritto nella relativa sezione speciale dell’Albo di un qualsiasi Ordine Forense italiano, può esercitare la professione forense in Italia.
Innanzitutto, l’Avvocato Stabilito non può in alcun modo spendere in Italia il titolo di “Avvocato“, ma esclusivamente quello conseguito nel Paese europeo d’origine (art. 4 e 7 del d.lgs. n. 96/2001): “Abogado“, nel caso di laurea omologata in Spagna, oppure “Avocat“, nel caso in cui la laurea sia stata omologata in Romania e cosí via (l’art. 2 del D.lgs 96/2001 fornisce la menzione specfica per ogni Stato dell’UE).
Va precisato che il titolo italiano non può essere speso nemmeno in forma abbreviata (per esempio, “Avv.”) e non può dunque essere utilizzato negli atti, nelle lettere, nella carta intestata e nell’indirizzo e-mail o pec (cfr. parere del C.N.F. n. 72 del 22 ottobre 2014); inoltre, la qualifica di “stabilito” deve essere chiaramente indicata, e non può essere limitata alla “sola” indicazione, dopo il titolo di avvocato, della lettera ‘S’ ovvero dell’abbreviazione “stab.”, trattandosi di segni che la gran parte del pubblico non ha strumenti conoscitivi per interpretare” (sentenza del C.N.F. n. 115 del 26 settembre 2014). Costituisce illecito disciplinare il comportamento dell’Abogado che, nella propria corrispondenza anche informativa, usi il titolo di “Avv. S.” o “Avv. Stab.”, anziché il titolo professionale nella lingua dello Stato membro di provenienza (art. 7 D.Lgs. n. 96/2001), in quanto si ritiene che così si ingeneri confusione con il titolo professionale dello Stato membro ospitante, nella specie aggravata dall’uso di un acronimo.
Nell’esercizio delle prestazioni giudiziali l’Avvocato Stabilito deve agire d’intesa con un professionista abilitato a esercitare la professione con il titolo di Avvocato, il quale assicura i rapporti con l’autorità adita o procedente e nei confronti della medesima è “garante” dell’osservanza dei doveri imposti dalle norme vigenti ai difensori. Potremmo definirlo impropriamente quasi come un supervisor che faccia da ponte con il sistema giuridico italiano.
L’intesa deve risultare da scrittura privata autenticata o da dichiarazione resa da entrambi al giudice adito o all’autorità procedente, anteriormente alla costituzione della parte rappresentata ovvero al primo atto di difesa dell’assistito (art. 8 del d.lgs. n. 96/2001).
Segnaliamo al riguardo alcuni pareri del C.N.F. (Consiglio Nazionale Forense), nello specifico i n. 32/2012,53/2013 e 68/2014, dove si chiarisce che “l’obbligo di esercitare la professione d’intesa con un Avvocato italiano implica che non vi possa essere un affiancamento in via generale a un Avvocato abilitato, ma che tale integrazione di poteri debba essere fornita per ogni singola procedura; di conseguenza, l’Avvocato ‘affiancante’ non può e non deve essere indicato con efficacia generale, ma in relazione alla singola controversia trattata“.
Per quanto riguarda l’Avvocato “affiancante“, con il quale lo “Stabilito” deve agire d’intesa, egli – come chiarito dal C.N.F. con il parere n. 9 del 28 marzo 2012 – “non è obbligato a presenziare, ovvero assistere alle udienze alle quali l’avvocato stabilito partecipa; si osserva tuttavia che l’intesa implica una forte responsabilità dell’avvocato italiano per quanto attiene al controllo dell’attività dell’avvocato stabilito, pur in assenza della condivisione del mandato difensivo“.